giovedì 2 ottobre 2025

UN'ALTRA SICILIA, dedicato a una antica blogger



Non tuttti i post sono nati come tali: negli ultimi anni i migliori o almeno quelli che io ritengo i più decenti sono stati scritti come commenti in varie occasioni o come risposte a interlocuzioni di vario tipo. "Un'altra Sicilia" ne è un esempio.

Signora, ignoravo l’abitudine del barone Cupani che somiglia per certi versi al tentativo di riempire lo spazio vuoto attorno a sè. 
Il Tomasi ne scrisse nel suo romanzo, descrisse questa netta e per certi versi incomprensibile astrazione dal mondo corrente di coloro che culturalmente appartenevano ad una dimensione esistenziale diversa. Nel ballo a palazzo Ganci l’umanità in trine e frack probabilmente credeva veramente che la loro stagione non potesse finire mai; l’USA air force nel maggio del 43 diede loro una secca e definitiva smentita. Non si sopravvive a se stessi, non è possibile congelare i mille congegni che fanno di tanti particolari una società complessa. Tuttavia per chi seppur brevemente ha conosciuto questo tipo di umanità e cultura è molto difficile non pensare che almeno di essa dovrebbe serbarsi il ricordo intellettuale. Il Lucio Piccolo di Calanovella è l’autore dei ” Canti Barocchi”, Giuseppe Mostro scrisse ” il gattopardo”; non resta solo il ricordo di stranezze e snobistiche scelte a metà strada fra il divertito , l’ironico e il sinceramente voluto, c’è una profonda e amara riflessione sull’esistenza culturale dell’uomo nel suo universo, una trasposizione letteraria assoluta e di gran livello. Per certi versi potrei dire che certi gesti erano solo l’aspetto propedeutico ad una meno risibile considerazione della metafisica umana: la vicenda umana terribile di Raniero Alliata, dei suoi ultimi 20 anni asserragliato nel palazzo cadente assieme alla consorte norvegese (credo) preso dal vortice di convinzioni storiche astratte ma funzionali a un’idea precisa ( essere l’ultimo dei principi del Sacro Romano Impero… una clausura terminata con lui nel 1965) tutto questo non potrebbe avere senso se non in un contesto fuori dai canoni usuali. Raniero fu un entomologo di valore internazionale, visse e morì solo; dei canti barocchi pochissimi conoscono l’esistenza, il principe Salina è l’unico di cui si parli ancora ma credo per pochi anni ancora. C’è una severa lezione in queste esistenze a metà strada tra il vero e l’irreale, qui il ” sic transit gloria mundi” diventa il viatico per una lettura più attenta della poesia del vivere. Ma forse straparlo signora, i suoi ricordi si tendono verso i miei e, assieme, volano via. Non credo vi debba essere più di un leggero rammarico per una saga che è terminata da tempo anche se non c’è nulla di più spettacolare, più appassionante, più artisticamente stimolante di una generazione che si mostra nella sua agonia. Ti prego perdona la mia lunga intromissione…ma mi sono limitato.

domenica 28 settembre 2025

DOMENICA DA LONTANO


Quanto il virtuale ci allontana dalla vita vera? Quanto valgono veramente le diatribe accese, le discussioni più o meno serie in rete? Quanto di noi resta di sincero su questo strano oggetto che chiamiamo blog? Credo che ci prendiamo troppo sul serio. Credo che spesso non siamo all'altezza di presentarci in pubblico. Credo che molti di noi aprano un blog per stupido esibizionismo o per un malcelato senso di autoaffermazione. Credo che io debba mondarmi da un certo numero di peccati. Ma dirlo o farlo qui non basta e non serve. Per vivere con un minimo si serenità e per continuare ad aprire la porta di questa casa devo SCORDARMI DELLA GRAN PARTE DI VOI, esattamente quello che sto facendo in queste settimane. E' un forzatura terribile ma, senza, dovrei cinguettare allegramente convenevoli talmente ipocriti da essere inascoltabili. La vita, la mia vita cammina altrove. Così com'è, senza troppe distrazioni, con molte letture, abbastanza noia e qualche incazzatura. Questa domenica scivola via nel ricordo di una serata con un po' di sano Jazz e una cenetta parca con un paio di amici. Scivola per entrare nella sera che precede un altro giorno usato senza avere il tempo di baciarlo e stringerlo stretto. Scivola con me: guardo il golfo e molte cose diventano inutili, molte persone vuote. La mia vita passata.

giovedì 25 settembre 2025

NON E' VERO


Non è vero che mi faccio capire e, allo stesso modo, ciò che scrivo non mi rappresenta quanto io vorrei. Il blog è comunque il confine più vicino ai territori del mio spirito, da lì in poi devi inventarti pioniere. Tutta la mia vita, quella che conta, l’ho trascorsa in un confronto impietoso tra i miei sogni, i miei impulsi e il mondo che m’era toccato di vivere; dopo i 16 anni sono saltato su così tanti campi minati che oggi dovrei essere solo uno storpio, un povero corpo mutilato da ferite non più ricomponibili. La libertà, la democrazia, l’amore e la rappresentanza, la società e perfino la storia, tutto questo enorme e composito fardello di idee non sono mai entrate dentro di me in modo naturale e piano: ogni anelito è stato sempre filtrato dalla cultura della mia generazione e dalla musica che ne era la più diretta emanazione. E ciò non l’ho mai compiutamente digerito! 
Non c’è un concetto più avversato da quelli che nel ’68 avevano 16-18 anni di quello di un tutor, dello stronzo di turno che ti dice cosa e come. E non c’è stata una generazione che, invece, ne avrebbe avuto più bisogno, seduta al limitare fra mondi completamente diversi, divisi da spaccature micidiali, lontani per sempre su tutto. Io non amavo, bevevo letteralmente i testi e il suono delle chitarre dei gruppi rock che stavano “devastando” il panorama musicale di quegli anni: lì c’era ciò che volevo o credevo di volere o, meglio, ciò che qualcuno mi aveva fatto credere io volessi. Altri tutor insomma ma più subdoli perché immensamente amati. Questa è la storia della mia vita: guardare la luna indicata dal dito…e prendere sempre una sberla come se fossi ugualmente un’idiota. Pare che non sia possibile vivere, pensare, amare senza l’ausilio indispensabile di una qualche droga, di un aiuto sintetico che ti apra la mente su orizzonti nuovi e validi. Pare che non sia attuabile alcun valido intervento sulla realtà umana e sociale senza scannare qualcuno o sacrificarlo sull’altare di interessi più alti e nobili. Annuivamo nel ’70, continuiamo a farlo oggi. Io sono un uomo sfinito dalla schizofrenia di un’esistenza accompagnata da gente che artisticamente amavo e politicamente e ideologicamente invece non digerivo. So perfettamente che non ricucirò lo scollamento, non certo in questa vita e il senso d’impotenza mi sta uccidendo lentamente e poi sono solo, giustamente e lucidamente solo. C’è una luce particolare oggi sullo jonio, un filtro di perla per ammorbidire gli spigoli dei miei umori confusi. Anche ora la musica di uno degli artisti che ho amato di più mi porterà fuori dalle secche di questa sera infinita, sarà il dito che ti indicherà la mia luna, ti dirà le parole che io non so pronunciare e avrò la speranza che l’amore in assoluto ricomponga il dissidio di sempre e che scriverlo non sia stato inutile. De Andrè ha già iniziato a raccontare del chimico che conosceva la legge che permetteva agli elementi di convivere senza scoppiare e ancora una volta chinerò la testa per ringraziarlo d’avermi fatto guardare oltre.

lunedì 22 settembre 2025

Siamo solo storie



La strada mi chiamava da qualche anno, senza troppa insistenza quasi sorniona: sapeva che l’avrei imboccata. Come tutti. Ho giocato con il tempo e i ricordi, scrivevo per questo reale motivo, profondo e pericoloso: cercare un mezzo per adire a una esistenza diversa, un’eternità facile e misconosciuta. Io scrivevo e nessuno ha mai guardato dietro l’angolo di certi segni, non è una vera colpa, gli interlocutori probabilmente vivono l’identico dramma emotivo. Ma non lo confessano, lo guardano silenziosi pensando di essere soli sul palcoscenico. 
Elena ha fatto scattare l’interruttore e non lo sapeva, ovviamente le storie personali filtrano pochissimo sull’anima di ciascuno di noi: siamo soli anche nella magia dell’amore o nel suo riflesso. Così mi sono incamminato lungo la mia strada, l’ho dichiarata strettamente personale; sulle spalle l’esistenza passata, esclusiva, privata perché non condivisibile. Decenni di scrittura chiusi al pubblico, gioco eseguito, gioco finito: decenni chiusi dentro un grosso pacco di fogli a parlarsi tra loro, sintassi malinconica di una fede mancata…ma c’è stato quello scatto, un interruttore spuntato dal nulla, un segno o un dito puntato contro la mia incredulità di dire ancora delle mie storie, di confonderle con le vostre perché Elena è certa che “siamo solo storie”. 
Non sono solo, Tiziana dai capelli rossi mi ha detto di aspettare un attimo, ha una scarpa slacciata. Mentre se la sistema intravedo le sue gambe magre, poi alza lo sguardo e mi inghiotte nei suoi occhi grigi. Tiziana il nostro cammino è finito alla fine dei 70, credevo fosse così: una normale tragedia per quelli della nostra generazione, un dolore da superare perché a diciassette anni non puoi fermarti a una siringa piena di droga. Mi ripetevi che era un problema solo tuo e io ti gridavo furente che era nostro invece e ti avrei tirato fuori dal fango; l’ultima volta avevi gli occhi pieni di lacrime e una canzone in sottofondo. La musica suona ancora e tu in qualche modo sei ancora viva con gli occhi grigi, il corpo pieno da adolescente affamata e quegli incredibili capelli rossi che mi fluttuano ancora attorno. La musica che ho cercato di tenere lontana fuoriesce ormai dappertutto: note e volti, curve e movimenti, giudizi e scambi di identità. L’ho sempre saputo che era un gioco pericoloso questo e che era meglio camminare da solo ma Giusy in silenzio non è d’accordo. Mi ha guidato anche nei decenni a seguire, ci siamo lasciati per modo di dire, per non essere diversi dal mondo che ci circonda, per morire di consuetudini abusate come tutti. Ma io
guardo la tua bocca, la tua pelle, la tua lingua, il tuo seno vicino e lo struggimento infinito di riaverti subito dopo esserci lasciati mi riassale furioso. Non è possibile dimenticare, dimenticarti, dimenticarci di come fummo e come eravamo vivi contro l’accidia del mondo. Siamo stati graziati amore mio, mi hai salvato tu. E lo sai bene. La strada è lunga mi porterà lontano? Oppure mi avvicinerà alla verità? Quante valutazioni ho sbagliato grossolanamente con quella insopportabile voglia di comandare la mia vita? Cinzia quando mi prendesti la mano davanti al luccichio del mare del Plemmirio me lo sussurrasti con la tristezza di un formale addio. Ma allora il demone era forte e invincibile, svanimmo noi non la sua traccia. La musica era al femminile come i versi che scrissi dieci anni dopo, come i sogni che non possono morire, la musica era tua, eravamo noi. Elena hai ragione siamo solo storie, raccontarle o meno è solo un’opzione, i suoni restano più a lungo richiamano altre storie e quelle sono di tutti, mie e di Giulia. Sono certo che lei ricorda quella notte… giocare con l’imbarazzo dell’attesa mentre fuori faceva definitivamente sera. Fare l’amore e dentro l’amore trovare una quantità enorme di sesso. “Ti tocco, mi tocchi, ti prendo mi sfuggi, ritorni mi fermo. Ti guardo mi guardi, entro e esco, il divano si è aperto verso il cielo noi ci anneghiamo dentro. Quella sera sei tornata a casa con me, gioco aperto e, incredibilmente, mi sono comportato con gradevole simpatia, nemmeno una parola fuori posto o un gesto di troppo; quando, un attimo prima di entrare nel portone, mi hai baciato sulla guancia e mi hai sorriso ero ormai finito. Stasera è la stessa cosa ma non devo guardarti in viso: – Non durerà! – è la frase scritta dentro i tuoi occhi un attimo dopo il rush finale. Non è vero, non importa, ci siamo ci siamo stati, quell’amore è nostro, solo nostro Giulia, l’universo stanotte ci ha già portato via.” 
E dunque si vada via per sempre lungo questa strada e queste strade con una musica a galleggiare sopra le nostre vite. E’ un lungo cammino. Grazie Elena.

venerdì 19 settembre 2025

IL RITRATTO- Scritto tre anni prima di Stefania Auci

Questa è la storia vera di un vero mistero. Negli anni a cavallo tra la fine dell’ottocento e gli inizi del secolo successivo Palermo era completamente nelle mani della famiglia Florio. Tutta l’economia della città e di gran parte dell’isola dipendevano dall’azione economica e imprenditoriale di questa famiglia. A differenza del potere esercitato dai politici nostrani nel secondo dopoguerra, i Florio usarono la loro immensa ricchezza per abbellire veramente la città e la fecero diventare una meta sociale e culturale di livello europeo. Questo è un dato di fatto indiscutibile, Palermo conserva ancora le tracce di una stagione fulgida e irripetibile, teatri, ville, manifestazioni…sogni e dipinti. La moglie di Ignazio, la baronessa Franca Jacona di Sangiuliano ebbe in tutto questo una parte fondamentale: se è vero il detto che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, qui le posizioni si invertirono e fu Franca sempre in prima fila, sempre una spanna sopra tutti, sempre e per sempre la regina di Palermo. Cultura, classe, fascino, intelligenza, portamento e una disponibilità economica senza fine fecero di questa donna un mito che ancora non muore. Ai primi del 900 il pittore Giovanni Boldini venne a Palermo su invito di Ignazio per eseguire un ritratto di Franca; Boldini era l’artista più famoso del tempo, una vera icona dell’arte europea, aveva posato per lui il fior fiore dell’aristocrazia del bel mondo dell’intero continente. La signora Florio non poteva mancare all’appuntamento. Il quadro non piacque al padrone di casa che lo rifiutò poichè a suo dire la moglie appariva in modo troppo sensuale e discinto con una spallina scivolata sul braccio e un abito molto corto che lasciava scoperte le gambe dal ginocchio in giù. a distanza di qualche anno fu eseguito un secondo ritratto, molto più casto del primo, di cui è rimasta solo una foto in B/N ; ma il primo ritratto ritornato “a casa” in un salone di Villa Igea a Palermo porta comunque una data “impossibile” cioè 1924 e ritrae invece una donna nel fulgore della sua giovinezza e non una signora di 51 anni come scritto in calce al dipinto. Vincenzo Prestigiacomo ha svelato il mistero dei due quadri in occasione della conferenza “Franca Florio e l’atmosfera culturale dell’epoca”, svoltasi a Villa Igea. Boldini si reca a Palermo nell’aprile 1901 e realizza un ritratto di Donna Florio. Il quadro è giudicato da Ignazio Florio un po’ osé per via delle caviglie e le braccia scoperte, la scollatura mozzafiato che rivela anche le spalle e la veste di seta che esalta le forme. Pertanto chiede all’autore di apportare delle modifiche e lo fa spedire nel suo studio di Parigi. Intanto, nell’agosto 1902, muore la primogenita dei Florio, Giovannuzza e il dipinto passa in secondo piano, mentre Donna Franca si ritira a Favignana. Siamo a dicembre e i due coniugi accettano l’invito dell’amico banchiere Maurice de Rothschild nella sua villa di Beaulieu sulla Costa azzurra, ma la sera del 4 gennaio muore per cause misteriose il secondogenito, Ignazio jr., detto “Baby boy”. Nel frattempo, il pittore Ettore De Maria Bergler aveva preso contatto con la Biennale di Venezia per esporre il quadro di Boldini, che però ancora non aveva modificato. Il ritrattista, stimolato da Bergler, dipinge un’altra tela del tutto similare alla prima, ma più ‘casta’: il vestito di seta viene sostituito da uno di velluto che copre caviglie e braccia. Boldini vi fa poi una foto e la spedisce a Palermo: Ignazio dà il benestare e va nell’ottobre 1903 a Venezia con la moglie, nonostante fosse al settimo mese di gravidanza. Alla fine della mostra il dipinto torna a Palermo ma, col tracollo finanziario della famiglia, alla fine della Grande guerra, viene sequestrato insieme ad altri beni dalla Banca commerciale italiana, finendo nella sua direzione regionale, in corso Vittorio Emanuele, e non si hanno più notizie. Probabilmente rimane sotto le macerie dei bombardamenti del ’43, di certo, a differenza di altri beni, non viene venduto, come è stato invece detto. L’originale dipinto nel marzo del 1901 viene acquistato da De Rothschild che lo vede nello studio del Boldini appunto nel 1924: lo fa autografare e datare e poi lo regala ai Florio. L’autore, forse per una distrazione o forse perché non ricordava l’anno esatto della sua realizzazione (era ormai ottantenne), lo firma e lo data come se fosse stato dipinto lo stesso anno della vendita. Questa la cronaca dei fatti, io mi sono permesso di costruirvi sopra un racconto verosimile.




Palermo, marzo del 1901. 

-Signora devo portarli tutti e due nel salone –
La signora si voltò con calma lasciando che la luce tiepida e luminosa del mattino le sfiorasse le spalle candide e trovasse poi il tempo di tracciare una lama splendente sulla consolle e sul pavimento in ceramica a fiori. Rispose solo con un cenno alla cameriera che conosceva il suo strano languore quando il giorno si fermava sospeso a guardare il tempo trascorrere tra la bellezza della luce, il profumo del grande giardino e il suono lieve e discreto che da lì proveniva. Non era indolenza ma solo piacevole e goloso stupore di vivere, di godere dell’immediato con la coscienza di quel sarebbe poi avvenuto.
Si diresse verso l’ampia finestra e la luce di quel marzo tiepido le scaldò il sangue sotto la pelle ambrata: il pensiero del giorno dopo le girava nella testa. -Perché proprio lui? Ignazio non ha perso il vizio di sfidarmi. Perché Boldini…probabilmente mio marito non sa nulla della pittura del maestro, non sa nulla della suo modo di proporre la donna agli occhi di chi guarda.
-Eccoli signora- la cameriera entrò trascinando il manichino, poi uscì per rientrare col secondo. Lei li guardò entrambi da lontano, se li vedeva già indosso, sentiva il frusciare del tessuto sulla sua pelle e quello più subdolo ed eccitante del pittore pronto all’opera.
-E’ certamente così, non ha mai degnato di particolare attenzione un quadro del maestro ma ne conosce la fama europea. E’ il migliore quindi degno di raffigurare mia moglie- pensò assorta- si sarà fatto questo conto, in fondo mi ama anche per le mie doti di rappresentatività.
Scelse il primo abito, nero, di seta lucida un colore profondo e altero che avrebbe reso ancora più sensuale il decolté e le sue spalle. Lo scelse pensando solo al quadro dell’indomani e a se stessa: il pensiero del marito non la sfiorava più. Era rimasto solo il piacere di giocare col proprio corpo e la propria bellezza: esserne conscia non sminuiva di nulla il suo languore, la rendeva solo più giovane e desiderabile.
-Il suo maestro si è già fatto conoscere signora- azzardò la cameriera- la contessa Tasca si è già fatta ritrarre qualche giorno fa..pare che sia venuto una meraviglia-
Dovette interrompere, lo sguardo imperioso della signora Florio la gelò in un attimo. Prese l’abito e lo posò sul sofà: era veramente bellissimo, stretto in vita con una scollatura così ampia che solo su una donna molto alta e dal portamento adeguato non sarebbe risultato eccessivo o sconveniente.
-Mi risulta che il signor Boldini abbia ricevuto parecchie richieste in questi primi giorni di soggiorno in città. Siamo molte le donne che possono migliorare il suo rapporto con la pittura- Lo disse ridendo pacatamente, ma in fondo vi credeva sul serio. Da anni lei e suo marito stavano cambiando la percezione che l’Italia e l’Europa avevano dell’isola. Palermo era diventato un crocevia ambito e ammirato di commerci e cultura e lei ne era l’indiscussa regina. Chiuse per un attimo i suoi occhi verdi e rivide tutto in un momento: nessun gesto, nessuna idea le sembrava artificiosa, tutta la vita era un sentiero scontato e perfetto che non poteva che condurre a quell’appuntamento coll’eternità dell’immagine. Un quadro.
Il mattino seguente pareva che una improvvisa frenesia avesse preso la casa intera: i domestici correvano frettolosi da una corridoio all’altro e le donne sembravano tutte impegnate in cose assolutamente non rimandabili. Il padrone di casa era uscito di buonora, faceva spesso così anche se era ritornato alle ore piccole la sera prima. Questa volta la scusa era un incontro importante al Banco Florio per decidere di alcuni investimenti riguardo alle tonnare delle Egadi: averle acquistate per intero aveva smosso il mondo della finanza italiana ma forse non era stato un buon affare a lunga scadenza. Lei non si era mai mischiata direttamente nelle questioni di Ignazio, capiva e ragionava meglio di quanto lui sospettasse ma ne era “giudiziosamente” fuori; il suo compito era un altro, era quello di mostrare la faccia pulita e nobile di una terra e della sua cultura, condurre la danza come nessun’altra avrebbe mai potuto fare.
-Annina portami l’abito e gli accessori- poi si sedette davanti all’ampia specchiera e la interrogò sul suo stato attuale. Aveva combattuto da anni contro la condizione genetica della sua pelle ambrata e olivastra da meridionale: non combaciava in alcun modo con la sua idea di bellezza e lei non era certo disposta a passare sopra alle sue convinzioni. Da molto tempo, forse dai tempi del fidanzamento con il marito, aveva stretto un patto con la bellezza: le aveva fatto chiaramente intendere che Franca e solo lei avrebbe guidato il suo cammino verso l’immaginario che sempre una donna stimola nel mondo circostante. La sua figura, la sua altezza fuori dal comune per i tempi e tutto quell’insieme di cose che andavano sotto il nome di classe genuina e portamento a lei non potevano bastare. Erano un fatto fisiologico, naturale, se ne era convinta, doveva in qualche modo intervenire su questo regalo della natura, doveva mettervi sopra il suo personale imprimatur. L’anno prima a Parigi il desiderio di intervenire su se stessa era diventato realtà: la porcellanizzazione del viso cui si era sottoposta aveva sortito gli effetti voluti. Adesso gli abiti risaltavano come lei sperava… guardò a lungo quello nero che le si apriva davanti sul sofà. Chiuse gli occhi e se lo vide chiaramente addosso, era un esercizio che faceva sempre, come se lo avesse già indossato. Era perfetto.
La cameriera impiegò almeno mezzora a vestire la signora, stringendo, stirando, adattando, piegando e carezzando la stoffa. Quando tutto fu terminato si discostò dalla padrona e la guardò in silenzio. Franca Florio sembrava ancora più alta davanti a lei, l’abito le dava un’imponenza statuaria e la ragazza la guardava come ipnotizzata. Con passo lento attraversò la stanza e arrivò alla finestra che come molte altre dava sull’immenso giardino: l’aria era tiepida e profumata quasi un inizio d’estate imprevisto. Il verde si perdeva a vista d’occhio, non c’era altro all’orizzonte del cielo chiaro: sorrise leggera immaginando il confine invisibile al di là del giardino, un gioco da ragazza che deve ancora scoprire il mondo. Ma il mondo al di là delle chiome verdi presentava un altro grande giardino che si apriva dove la via Dante segnava la distinzione tra due territori nettamente separati. Due modi diversi di vivere e interpretare ricchezza e bellezza, sud e civiltà, moda e relazioni. I Whitaker di villa Malfitano sembravano appartenere ad un’altra Palermo quella che non avrebbe nemmeno concepito un fatto come questo che lei si apprestava a vivere. Decise di coprire con un soprabito cremisi chiaro lo sfolgorante abito che aveva indossato: non avrebbe rinunciato per niente al mondo all’effetto sorpresa nei confronti del famoso pittore. L’anno prima aveva ascoltato con le sue orecchie Ignazio vantarsi della bellezza della moglie… “ Quando verrà a Palermo dovrà perdere molto tempo caro Boldini per trovare l’esatta mescolanza di verde per il colori degli occhi della mia signora!” Sciocco come tutti gli uomini pronti a vantarsi di una donna come se la sua bellezza fosse merce di scambio e non regalo impagabile della vita.
- Andiamo Annina, si sta facendo tardi- Uscirono entrambe dalla stanza e attraversarono i due lunghi corridoi fino alla grande porta in mogano massiccio. La villa aveva almeno una quarantina di stanze e lei non le conosceva proprio tutte; era un fatto naturale. In genere i suoi percorsi abituali erano altri, la camera da letto, il grande bagno, la stanza personale con quegli incredibili pavimenti a petali di rosa in ceramica… il corridoio verso il grande salone e la carrozza sempre pronta per una passeggiata in città o sul lungomare. Questa porta e il panorama al di là di essa le sembravano del tutto nuovi.
-Puoi andare cara- disse ad Annina- vai a sistemare la mia stanza e se incontri mio marito digli che le sedute sono cominciate- Guardò la ragazza andare via leggera, si girò nuovamente verso la porta, abbassò la grande maniglia in ottone e si avviò verso l’incognita del nuovo giorno.

La stanza era grande con una larga finestra parzialmente coperta da una sontuosa tenda in cotone bianco finemente lavorata, pensò di non averla mai vista, non così almeno. Di lato sulla destra c’era un cavalletto di medie dimensioni ma quello che più colpiva l’attenzione era una grande tela sulla sinistra assolutamente bianca e vuota quasi più grande della sua persona in toto. Boldini sembrava essersi accorto solo allora della presenza di qualcuno nella stanza, assorto in chissà quali pensieri, si girò lentamente verso di lei. E sgranò gli occhi.
-Madre santa quant’è ridicolo quest’uomo-
riflettè automaticamente Franca osservandolo con un lieve sorriso sulle labbra, il pittore non si poteva certo definire un bell’uomo: piccolo con gambe magre a sorreggere un corpo panciuto. Soltanto gli occhi neri e vivaci gli rendevano giustizia.
– Signora la prego si accomodi per quanto possa sembrare ridicolo dirlo a casa sua- e fece un ampio gesto con la mano nell’invitarla a prendere possesso del centro della stanza. La donna annuì con un breve cenno del viso, fece un paio di passi in avanti e continuò a guardarsi in giro. La stanza era piena di oggetti e di odori, il più forte era quello della carta, dei tessuti e del legno, un insieme speziato ma non eccessivo: la colonna sonora era composta dai rumori lontani del giardino, della casa, dal respiro della vita che cresceva di minuto in minuto.
– Bene maestro eccomi pronta, mi dica in che modo possa aiutarla.
– Signora la prego la sua sola presenza qui è fonte di grande e inestimabile piacere…
– Sa usare bene anche le parole vedo, oltre ai pennelli…
e rise con quella risata argentina e colorata che da sola avrebbe cambiato il modus di qualsiasi interlocutore.
– Sa che non ero mai stata così dentro l’attività di un pittore, intendo dire a contatto con i suoi oggetti… le sue cose. E’ un’esperienza nuova per me – parlando si muoveva, si girava, e il maestro la seguiva in adorante silenzio. Lei lo sapeva, era perfettamente conscia del suo potere sugli uomini, sapeva che atmosfera si creava appena entrava in un ambiente, in un salotto. Ne rideva in cuor suo ma in fondo non ne aveva mai approfittato e questo distanziarsi dal mondo dei sensi immediati la rendeva unica. Non si trattava di quella rarità di cui, parlando di lei, scriveva D’annunzio e nemmeno di quel tipo di adorazione quasi scontata dalla quale era circondata ovunque. Sapeva muoversi tra l’ammirazione e l’invidia e ogni tanto incontrava la gioia di una consapevolezza meno ovvia; non era quasi mai collegata all’altrui bellezza estetica.
– Dovremmo cominciare non crede maestro? Non so che fare mi dica – sorrise di nuovo – come devo mettermi?
Si era accorta del silenzio costante di Boldini ed era convinta di conoscerne la natura: l’ammirazione mista a desiderio di qualunque uomo avesse lei incontrato. La risposta dell’uomo la fece ricredere.
-E’ necessario preparare prima delle bozze madame, un quadro deve rappresentare altro in più delle fattezze esterne…almeno un mio quadro! Mi perdoni delle mie attenzioni che potrebbero essere male interpretate, vede non serve che lei si metta in alcuna posa per ora. Credo che per oggi sarebbe più utile… un colloquio sui suoi gusti, le sue idee e forse, mi perdoni l’ardire, i suoi desideri meno noti-
Parlò con voce pacata e sicura e cambiò in un momento il corso di quella giornata e di quelle successive. La donna si sentì rinfrancata, messa in una posizione di intimità carezzevole e insperata, il ritratto si allontanò sullo sfondo e il colloquio si spostò lentamente ma decisamente sulla città, i suoi abitanti, la sua storia minuta e quella appariscente dei ricevimenti e delle serate sfavillanti. Teatri, saloni, giardini e piccoli segreti… ogni cosa serviva a i due interlocutori per definire un quadro complesso e preparatorio a quell’altro che aspettava, vuoto e bianco, la sua investitura. Non era la signora Florio la prima attrice di quel parlare fitto e veloce ma Palermo, una città irrimediabilmente attratta dallo sfarzo più che dall’accumulo, dalla luce magari artificiosa, da un sogno di bellezza e internazionalità insito nell’aria ma mai completamente e definitivamente realizzato nel tempo Boldini rispondeva, chiedeva, ascoltava e dipingeva con la mente una signora siciliana evidentemente diversa dagli stereotipi abituali; pian piano si accorse che quella complicità essenziale per dipingere un’anima si era accomodata tra loro con una naturalezza che lui non aveva mai incontrato. La donna parlava con quel tono piano e modulato al tempo stesso, muovendo poco le mani ma usando soprattutto gli occhi e le guance; il pittore capì all’improvviso dove si celava il segreto del suo fascino. Era concentrato nel movimento, nel dinamismo nuovo e duttile che l’avvolgeva come un aura sottile; avrebbe dovuto dipingere quello, trasmettere quello, ricordare per sempre quello che gli occhi verdi di Franca raccontavano al mondo e che il mondo spesso capiva solo a metà.
-Madame è rimasta con il soprabito addosso come quando è entrata, la prego mi permetta di aiutarla se lo tolga. C’è un caldo imbarazzante qui dentro.
Lei parve non ascoltare, si alzò e con noncuranza si voltò dall’altra parte della stanza e si avvicinò al tavolo ingombro di carte e fogli da disegno.
-Non si confonde in tutto questo disordine maestro?- disse sfogliando e rimescolando i fogli- oppure è uno di quegli uomini cui piace allevare il proprio ordine mentale in un apparente caos esteriore?
-Può darsi ma non era previsto che la mia modella si occupasse così tanto di tutto ciò che circonda un quadro e la pittura
– Sono curiosa è vero e lei rappresenta un lato dell’estetica che ai più è nascosto.
– Sono solo schizzi di vario genere signora. Abbozzi, idee lasciate a metà, vite da completare. Se non le fermassi subito così potrebbero svanire per non ripresentarsi più allo stesso modo: è la loro iniziale baldanza a colpirmi, non posso trascurarla.
Lei annuiva, carezzando quei fogli, rigirandoli e guardandoli come la corolla di un fiore segreto. Poi d’improvviso si fermò e guardando un foglio un po’ più grande degli altri sussurrò
– Giulia….è un disegno recente questo, riconosco l’abito di non più di dieci giorni fa, l’abbiamo scelto assieme. Quando è accaduto? Quando ha incontrato la baronessa Trigona?
– Un paio di giorni fa signora…spero che tutto questo non le appaia sgradito, io non potevo esimermi e comunque…
-Maestro, non dica oltre la prego, il ritratto è bellissimo…bellissimo- la voce divenne accorata- ma è così triste, sembra un presagio di grande malinconia.
-Signora le assicuro…
-Giulia cosa nascondi in quello sguardo, cosa non mi hai detto?- e rimase in silenzio per un lunghissimo istante mentre il pittore la guardava interdetto. Un grande silenzio si impose nella stanza, una pausa che non ammetteva repliche ed era intima, privata non commentabile. Il ritratto di Giulia Trigona pareva aver spezzato il ritmo naturale dell’incontro e fu per questo che la signora decise di chiudere la seduta per quel giorno.
-Maestro è meglio sospendere per oggi – Boldini la guardò disponibile e attento – non sono nelle condizioni adatte per un ritratto, il mio umore ne rovinerebbe i tratti. Riprenderemo domani in questo stesso luogo.-
Porse la mano che le fu sfiorata dall’ossequio di rito, si girò ed uscì dalla stanza. Il pittore la guardò andar via così come era entrata, chiusa nel soprabito come nel riserbo di una confidenza solo accennata. Andò al tavolo e prese tra le mani il ritratto della Trigona: lo osservò con estrema attenzione per scoprire quello che gli occhi di un’altra donna avevano visto e che lui aveva fermato nei tratti di matita senza avergli dato il nome giusto.

Quando il mattino seguente la maniglia della grande porta si abbassò di nuovo lui era pronto, acceso e nervoso: la signora Florio non lo avrebbe trovato più impreparato. Poiché questo egli sentiva fosse avvenuto il giorno prima: senza sapersene dare una qualsiasi spiegazione egli era stato preso alla sprovvista su tutto e non dipendeva dal fatto che si trovava a lavorare in un ambiente “estraneo” lontano dal suo studio parigino; era un uomo avvezzo ai cambiamenti e agli splendori del bel mondo dorato e esclusivo nel quale da anni operava. Decine di donne bellissime e eleganti avevano posato per lui, sorrise pensandoci, e con tutte era stato lui a dirigere la danza di quell’etereo corteggiamento che in realtà è il ritrarre una donna. Oggi non sarebbe stato diverso decise osservando la stanza in tutti i particolari; le aveva dato nel pomeriggio precedente una sistemazione accurata e, soprattutto, aveva nascosto il ritratto che aveva così bruscamente interrotto il sogno il giorno prima. Adesso ogni cosa era al suo posto apparentemente intatta ma invece ordinata secondo un proposito di seduzione in divenire che già altre volte aveva dato i suoi frutti.
-Buongiorno signora, si accomodi la prego- e le baciò elegantemente la mano.
– Maestro eccomi qui: mi scusi per ieri ma mi creda era diventato improvvisamente impossibile posare per me.
– Capisco perfettamente- lo disse mentendo spudoratamente- ma può capitare…sono qui per servirla mi creda. Possiamo iniziare, la prego vada su quel lato e volga il viso verso la luce che arriva da dietro la tenda…ecco si avvicini a quella poltroncina scura e, per favore, tolga il soprabito.
Lei eseguì con lentezza studiata, si addossò alla parete, volse il viso a destra verso la luce e fece scivolare il soprabito a terra di lato.La stanza si illuminò come per magia e lo splendore dell’abito in seta nera e lucida fece dentro la mente del maestro lo stesso effetto di un’esplosione. La donna non lo guardò quasi, stette immobile sorretta solo dalla sua palese bellezza, indifferente ai particolari che si andavano assommando attorno alla sua figura ma per il pittore diventato improvvisamente uomo era quasi impossibile nascondere l’ipnosi che lei aveva suscitato. Trovarsi così, senza difesa alcuna nell’identica situazione che egli aveva studiato di evitare lo fece sentire ridicolo e smarrito, doveva evitare che donna Franca se ne accorgesse. Ma ormai l’incantamento aveva preso possesso del tempo e dei modi: la mano rimasta immobile con la matita tra le dita, lo sguardo fisso, gli oggetti fermi, sospesi e spettatori malinconici di un momento irripetibile, il petto bianco che si muoveva leggermente e regolarmente dentro la scollatura vertiginosa… la lunghissima collana di perle a sottolineare la figura alta e slanciata come una cornice per un quadro già finito. Il pittore uscì da quella lunghissima sospensione con uno sforzo considerevole: si spostò leggermente e guardò la sua modella di profilo cominciando a tracciare i primi segni sul foglio. Le disse di alzare il braccio con cui teneva la sciarpa di seta leggera e trasparente
– Guardi all’infinito signora come se pensasse intensamente ad un segreto… ecco così. Bellissima, bellissima- le indicava la direzione segnando febbrilmente i tratti sulla carta e lei eseguiva quasi precedendo di un attimo i suoi desideri. Poi d’un tratto lei si sedette sulla poltrona nera lì accanto, si volse verso Boldini, lo guardò con intensità e con un gesto sicuro accavallò le lunghe gambe scoprendole e svelando le calze velate di seta fermate alla coscia da una giarrettiera. La matita andò veloce sul foglio per non dimenticare il momento imprevisto e insperato.
-Maestro, quando dipingerà quello – disse indicando la grande tela bianca – voglio che si ricordi di ciò che ha visto un momento fa-
Il pennello iniziò a guizzare sul tempo, i sogni, il desiderio sgranato come le perle della lunga collana: passò un’intera vita in quella stanza, il passato già lontano, il presente vibrante e un futuro per sempre fissato sulle pieghe dell’abito da sera. “Senza di lei la storia dei Florio sarebbe stata una storia verghiana, solitaria e dolorosa, di accumulazione di sommessa e inesorabile fatalità; con lei diventa una storia proustiana, di splendida decadenza, di dolcezza del vivere, di affabile e ineffabile fatalità”. L Sciascia

NB - L'accenno a Giulia Trigona nasce da un fatto realmente accaduto. Nella tarda mattinata del 2 marzo 1911, la contessa Giulia Trigona di Sant’Elia, 29 anni, moglie infelice del conte Romualdo Trigona di Sant’Elia, madre di due bambine, dama di corte della regina Elena, morì per mano del suo amante, il tenente di cavalleria barone Vincenzo Paternò, in una stanza del modesto hotel Rebecchino di Roma. La relazione tra i due era iniziata l’11 agosto 1909 ma, dopo circa due anni di passione, appuntamenti furtivi e pettegolezzi, lo scandalo stava ormai per travolgere le famiglie. Fu così che Giulia Trigona decise di troncare la relazione, contro il volere di Vincenzo Paternò. Questo scatenò la follia omicida dell'uomo, femminicidio d'altri tempi di cui parlo' l'Italia intera.

lunedì 15 settembre 2025

LONTANO DA QUI, 15 SETTEMBRE 1960


Le estati roventi e secche degli ultimi anni 60 le ricordo bene, e con loro il profumo ipnotico dei gelsomini nelle notti piene di stelle passate a chiacchierare davanti alle acque scure del canale di Sicilia. E’ stata anche un momento culturale protratto e significativo, un confronto, l’altra faccia della medaglia che non mi ha mai permesso di credere alle bugie che ascoltavo altrove; oggi devo ammettere quello che quarantanni fa non avrei mai accettato: che la cultura, sia in senso stretto che in senso lato, è purtroppo un’eredità ” sociale” difficilmente costruibile fuori da un certo ceto e da certe abitudini mentali. Milano della fine degli anni 50 e all’inizio del 60 era una città diversa, era una dimensione perduta per sempre. Io la ricordo con una sensazione di “grande abbraccio”, di una ritrosia che si lasciava vincere solo da una schiettezza sincera. Ero un bambino ma i milanesi li ricordo bene: sorrisi formali ed attenti, l’aria di chi aveva sempre qualcosa da fare o la stava facendo e il freddo pungente delle mattine d’inverno. Nel 1958, poco prima che iniziasse la primavera, entrai nella prima classe elementare lombarda e conoscevo l’italiano! A meno di 10 anni d’età, molte cose sono solo un gioco o una scoperta. Di fatto a scuola io ero “un emigrante al contrario” e il mio rendimento elevato serviva soltanto ad evidenziare i nervi scoperti di un razzismo latente, di una mancanza di conoscenza di cui io mi dovetti far carico interamente. Ma avevo un alleato prezioso, il signor Oldrini, il mio maestro. L’uomo che mi insegnò, facilmente, il gusto della scoperta e del sapere e la tenerezza del dare. Non c’è più il signor Oldrini, ormai è solo un nome nascosto dentro di me; ricordarlo adesso è veramente un gesto d’amore perché lui non può ascoltarmi, non può sapere che quel ragazzino dai capelli rossi e dagli occhi chiari, quel siciliano dalla fisionomia inconsueta, chiude gli occhi e lo vede, lo sente parlare e gli sorride ancora. Più in la non riesco ad andare e comunque non ho nessuna memoria. 
Dei giorni prima del 15 ottobre 1960 non possiedo che ricordi sfilacciati, vaghezze con alcuni lampi fortissimi in mezzo ad una nebbia senza confini. Il fortissimo trauma cranico di quel pomeriggio lontano giocando con i ragazzini in un oratorio del centro, si è portato via tutto o quasi. La mia vita ricomincia il giorno dopo in una corsia d’ospedale: apro gli occhi e sento di avere la testa fasciata e di percepire un ronzio diffuso, il viso di mio padre e mia madre è la terra promessa. Prima viveva un altro Enzo ma se n’è andato giocando in un cortile di Milano. Di quel bambino mi son rimaste alcune cose isolate: la gioia per alcuni palloncini in via Dante a Milano il colore del vecchio mobile nella casa della nonna nell’antico paese siciliano, l’odore penetrante di stallatico del carretto su cui in estate attraversai la Val di Mazara… Il senso di mare una mattina quando scoprii le orme dei gabbiani sulla spiaggia e il sole era già alto. Il rumore del vento dolce dall’Africa fra le colonne doriche. Quell’Enzo non ha altra memoria di sé. Questo post c’è anche perché quel pomeriggio d’ottobre Don Filippo si caricò sulle braccia un bambino con la testa piena di sangue, lo caricò sopra una seicento e lo portò in ospedale in tempo. Mamma dice però che quella notte il Signore si spaventò perché mio padre gli disse che poi doveva vedersela con lui se io me ne andavo; sorrido ancora oggi quando ci penso e mi carezzo con la mano la cicatrice che sento, nodosa come una radice, sotto i capelli.

venerdì 12 settembre 2025

MENU A LA CARTE



Pensandoci con più calma, perché adesso finalmente il ritmo e le necessità di pubblicazione e relazionali sono mutate, i motivi profondi di miei malesseri e disagi nella mia avventura virtuale appaiono evidenti. Non giustificabili tout court ma certamente comprensibili. 
La comprensione non mi salva da una malinconia profonda, difficile da spiegare. Certo questo post dovrebbe essere messo a prefazione di tutto ciò che ho scritto in rete perchè spiega e risponde a molti interrogativi ( e fastidi) che anche le persone a me più care mi hanno manifestato in questi anni. Questo testo è in fondo l'ultimo, l'ultima spiaggia: che sia pubblicato qui in mezzo ad altri o altrove, su altri blog, all'inizio o alla fine di un percorso virtuale, non conta. E' l'ultimo perchè bisogna accettare il proprio vissuto intellettuale e analizzarlo con serena lucidità. Se non ricordo male la prima ad evidenziare il problema fu Marina Pierani, poi a seguire la signora Cerrito. Pur considerando valide alcune reprimende l'idea delle blogger era che le recriminazioni, oltre una certa misura, diventavano stucchevoli. Bene, io quella misura l'avevo superata abbondantemente! Come è nelle mie abitudini rifiutai qualsiasi consiglio e così venne fuori l'idea ( falsa) che io fossi ignorante e arrogante, che non fossi inquadrabile in nessun schema ideologico perchè in realtà non possedevo alcuna logica e volessi mantenermi in linea di galleggiamento sempre e comunque. Che fossi quindi una persona subdola e utilitaristica! E' ancora l'idea di certi blogger che si ostinano a maltrattarmi dall'alto di una superiorità etica e intellettuale che non gli riconosco. 
Se osservaste tutto questo da una prospettiva più ampia finalmente comprendereste quanto sia veramente piccola e sciocca la questione: atteggiamenti infantili da web, sussiego, ripicca, come se queste righe, le mie e le vostre, fossero la quintessenza della vita, come se i litigi, gli equivoci siano degni di essere considerati un grande problema , qualcosa per cui strapparsi i capelli o peggio. La mia realtà intima dice altro a mio parere. Dice che ponendosi a contatto e in comunicazione col mondo esterno, uscendo verbalmente dal chiuso di una stanza, una tastiera e un computer, confrontandosi quindi, tutta l'enorme distanza tra il mio mondo intellettuale e il resto mi ha regalato una solitudine abissale e un senso di inutilità non gestibile. Parlo di distanza non di superiorità! La malinconia resta, netta senza discussioni, tagliente e per molti versi distruttiva. Se mi leggete salta subito all'occhio. Ma il problema non si ferma qui, quello che mi distratto, incuriosito...stregato è stato altro. Io all'inizio usavo carta e penna, un foglio bianco e i miei segni neri, in silenzio e solitudine, soltanto io e la trasposizione in parole dei miei pensieri, non c'è cosa più affascinante della scrittura, non c'è cosa più duratura (purtroppo in certi casi). La scrittura diventò mia già a dieci anni. Era un fatto naturale, fisiologico, amato e protetto fino all'esagerazione. Un istinto possessivo ed esclusivo, lo scelsi come mezzo di comunicazione nei miei rapporti con l'esterno.Poi la rete mi presentò anni fa un suo derivato e cambiò ogni cosa per molto tempo. E' stato L'IPERTESTO a spingermi sulla strada di una scrittura diversa, più ampia. Potevo cambiare ogni cosa! Caratteri, corsivo o grassetto, dimensioni, colori, giustificazione a dx o sn, dimensioni...e poi sfondi immagini, musica. Un universo tutto da sondare. L'ho usato a piene mani, ho creato una quantità di blog e in ognuno di essi ho provato esperimenti di tutti i tipi. Infine mi sono allontanato dal senso profondo della scrittura. E mi sono perso. Negli ultimi due anni ho cercato di ricuperare pian piano i segni neri su bianco, ho ripreso me stesso e l'ho bloccato sulla mia scrittura profonda; è un lavoro improbo e mi ha dato un gran senso di colpa, forse alcuni errori non sono più riparabili, ho fatto danni a destra e a manca, non ho mai avuto reticenza a usare la parte più tagliente di me nei testi, è una specie di irresistibile follia...la sento anche ora mentre batto queste righe. L'operazione consiste nel tornare alla scrittura dopo aver navigato per anni nelle discussioni e nelle polemiche, lasciare l'ipertesto al suo ambito e riempirlo di nuovo di testo vero e pieno. Dovrebbe chiamarsi letteratura e lo dico timidamente ma seriamente. Solo in quell'ambito potrò finalmente trovare pace e morirvi dentro. Non riesco a cambiare finora, sono incapace di adeguamenti, non pratico compromessi, fondamentalmente ostico e estraneo alla quasi totalità delle mie frequentazioni virtuali. Su questioni come finis vitae e relativa legge, dinamiche parlamentari, dinamiche politiche, ideologie di questo secolo trascorso, storia italiana, cattolicesimo e Vaticano, figure papali, teologia ed Evangeli, rapporti con l'Islam, fenomeno migratorio, Europa europeisti e UE, scuola e valori educativi, Magistratura e magistrati...ma soprattutto senso del tempo dell'uomo e delle sue radici etiche pronde, per tutti questi argomenti e altri ancora ho una posizione opposta e diversa dalla vostra ( o da quella che leggo sulle vostre pagine). Lascio da parte le questioni riguardanti nello specifico le dinamiche relazionali e comportamentali dei blog, ciò che io chiamo "galateo da rete"; qualcosa di talmente sciocco da non meritare attenzione ma che invece domina ferocemente i nostri rapporti. Capite bene dunque che le diversità intellettuali e d'opinione unite a questa scontrosità di base rendono Enzo Rasi finito prima ancora di cominciare. 
Qualcuno, superando il fastidio di aver a che fare con me, potrebbe chiedermi: perché non frequenti dunque esclusivamente i tuoi sodali? Invece di rompere le scatole con queste tue croniche lamentazioni perché non ti rapporti con persone uguali a te, con opinioni uguali, eliminando una volta per tutte il tuo è il nostro fastidio? Non posso farlo. Non ci sono sodali per come li intendo io, solo frange di pensiero unico opposto a quello descritto prima ma con l'identico vizio di fondo: assoluta predominanza dell'ideologia vissuta come assioma che tutto esclude e corrompe. La destra ha un colore diverso ma la stessa anima ignorante e arrogante della sinistra. In mezzo non c'è nulla. La logica in entrambi i casi è quella dei pacchetti tutto compreso, il menù alla carta non è previsto: per esempio ( ma è solo un esempio preso al volo) se hai opinioni di un certo tipo sul giudaismo DEVI per forza concordare con Alfatah o Hamas, oppure se sulla storia del fascismo la pensi in un certo modo conseguentemente devi gioire per piazzale Loreto o accettare come dovute le leggi razziali italiane del 1938.!!! Potrei continuare all'infinito, non lo faccio. Fin quando i miei testi raccontano di storie d'amore o di vita, di luoghi presenti nell'immaginario romantico di molti di voi, del Sud come anima e stimolo letterario, riesco a sedermi al tavolo; ma non deve trapelare niente dell'humus culturale che mi porto dentro perchè esso è assolutamente politicamente SCORRETTO! Sono un apolide è chiaramente riportato sulla mia carta d'identità: senza una vera patria riconoscibile, dedito alla giustificazione della teoria "un colpo al cerchio e uno alla botte", pericoloso, inaffidabile, insostenibile. Solitario. Non mi piace, non mi piaccio ma la spiegazione del mio fallimento nella socializzazione virtuale sta lì e non c'è altro da aggiungere e francamente nulla da commentare.